Un intellettuale ad Auschwitz: su Jean Améry

a cura di Marco De Marinis


quando: 27.01.2013, dalle ore 16
dove: Palazzo Marescotti

 

DAL RISENTIMENTO ALLA MEMORIA
conferenza di Valentina Pisanty | INGRESSO LIBERO

a seguire

LETTURE
testi di Jean Améry | voce di Oscar De Summa | INGRESSO LIBERO

 

 

«La più dura realtà esperita da Améry ad Auschwitz è la precarietà dello spirito, il suo incepparsi, la sua difficoltà e incapacità di trascendere le cose. Geist, spirito, significa intelligenza, cultura, moralità, pensiero ossia facoltà di trascendere la cieca immediatezza dell’oggetto, di mediare e superare il viscerale caos dell’immediato. Améry mostra come nel Lager non esista questa trascendenza spirituale e culturale; tutto è l’immediatezza, sovranità brutale dell’impulso elementare, come nella fame, nella reazione fisica del corpo alla tortura, nella promiscuità e nel dolore delle percosse.

Améry è un grande, geometrico poeta di questa assoluta, primaria realtà del corpo e dei tragici momenti in cui essa si dilata e si espande sino a diventare, tirannicamente e totalitariamente nel senso forte della parola, l’unica e globale realtà dell’Io: Questo sguardo analitico e dolente alla fisicità ha permesso ad Améry di scrivere i suoi due libri più grandi, quello sull’invecchiare - sul processo che estranea la realtà all’intelligenza e al corpo dell’individuo - e sul suicidio, ulteriore passo in questa estraneazione che si converte in dignità e in libertà.

Questo agrimensore disilluso di tutte le nostre implacabili perdite di terreno è infatti un maestro di dignità e di libertà, un campione del buon combattimento. Guardare in faccia l’estremo nichilismo, togliendo i veli che mistificano l’annientamento e rifiutando gli autoinganni che aiutano a non vederlo, significa per Améry vincere l’irrealtà che ci circonda e conquistare in tal modo autonomia».

(Dalla Presentazione di Claudio Magris a Jean Améry, Intellettuale a Auschwitz, Torino, Bollati Boringhieri, 1987).

 

Jean Améry (Vienna, 31 ottobre 1912 – Salisburgo, 17 ottobre 1978) è stato uno scrittore e filosofo austriaco. Pseudonimo di Hans Chaim Mayer (Améry è la versione anagrammata in francese del cognome paterno, ripudiato nel dopoguerra per segnare la sua dissociazione dalla cultura tedesca), nasce da una famiglia ebraica non praticante. Si forma negli ambienti filosofici della capitale austriaca, influenzato dalle lezioni di Carnap, Wittgenstein e Schlick, e frequenta scrittori come Thomas Mann, Musil e Canetti. Dopo l’annessione dell’Austria alla Germania nazista nel 1938, emigra in Francia e poi in Belgio dove si unisce alla Resistenza. Nel 1943 viene arrestato con l’accusa di propaganda antinazista e torturato a Breendonk dalla Gestapo per poi essere deportato a Mechelen, ad Auschwitz, a Buchenwald e a Bergen-Belsen, fino alla liberazione del campo nell’aprile del 1945. Trasferitosi a Bruxelles, Améry collabora con un giornale svizzero, rifiutandosi di pubblicare i suoi scritti in Germania e in Austria. Soltanto nel 1964, incitato dal poeta tedesco Helmut Heissenbüttel, scrive per la radio una riflessione autobiografica sull’esperienza di ex-deportato che lo stesso anno confluisce nel suo più celebre saggio, Intellettuale a Auschwitz. Seguono altri due libri in cui sviluppa, con la spietata lucidità che lo contraddistingue, la tematica della “vita offesa”: Rivolta e rassegnazione: sull’invecchiare (1968) e una riflessione filosofica sul suicidio, Levar la mano su di sé (1976). Muore suicida.

DAL RISENTIMENTO ALLA MEMORIA

domenica 27 gennaio, h 16 | Salone Marescotti
conferenza di Valentina Pisanty | INGRESSO LIBERO

Nel quarto capitolo di Un intellettuale ad Auschwitz, Jean Améry definisce il risentimento come la condizione che inchioda la vittima del nazismo alla croce del proprio passato distrutto. L’uomo del risentimento è intrappolato in un’aporia insanabile: «assurdamente esige che l’irreversibile sia rovesciato, che l’accaduto sia annullato». Tale pretesa lo espone a una condanna sociale che agli occhi di Améry è persino più severa di quella che grava su chi ha commesso il crimine. È negli interessi della collettività, naturalmente proiettata verso il futuro, che le ferite siano rimarginate, i traumi riassorbiti, i conflitti risanati. Di qui, i ripetuti appelli al perdono e alla riconciliazione che la vittima tuttavia non potrà mai accogliere, se non a costo di annullarsi come individuo in nome di un presunto (e assai discutibile) principio di bene comune. Alla morale della pacificazione, schermo di un’esigenza di vendetta rimossa, Améry contrappone perciò una morale del risentimento che pungoli il popolo tedesco a integrare, anziché neutralizzare, quel pezzo della sua storia recente, rivendicandolo come proprio patrimonio negativo a uso e monito delle generazioni successive. A quali processi storici, strategie politiche e dispositivi culturali sono riconducibili le differenze che separano la vittima e il risentimento descritti da Améry dai loro corrispettivi attuali? Cosa accade al risentimento man mano che, nel discorso pubblico degli ultimi cinquant’anni, e sempre di più nei decenni recenti, le vittime reali vengono sostituite da altri soggetti che se ne fanno portavoce? Queste domande, tutt’altro che retoriche o celebrative, verranno affrontate nel corso della conferenza/dibattito del 27 gennaio.

Valentina Pisanty è ricercatrice all’Università di Bergamo dove insegna Semiotica. Fra le sue pubblicazioni, Leggere la fiaba (Bompiani 1993), L’irritante questione delle camere a gas: logica del negazionismo (Bompiani 1998), Semiotica e interpretazione (con Roberto Pellerey, Bompiani 2004), La difesa della razza: antologia 1938-1943 (Bompiani 2006), Variazioni semiotiche (con Maria Pia Pozzato e Guido Ferraro, Carocci 2007), Semiotica (con Alessandro Zijno, McGraw-Hill 2009) e Abusi di memoria: negare, banalizzare, sacralizzare la Shoah (Bruno Mondadori 2012).

a seguire:

LETTURE

testi di Jean Améry | voce di Oscar De Summa | INGRESSO LIBERO

Oscar De Summa si è formato alla scuola di teatro della Limonaia presso il Laboratorio Nove con Barbara Nativi, Renata Palminiello e Silvano Panichi. Come attore ha lavorato, tra gli altri, con Claudio Morganti, Renata Molinari, Fura dels Baus, Massimiliano Civica. Come autore e regista ha curato Amleto a pranzo e a cena per Fondazione Emilia Romagna Teatro; e Un sogno nella notte dell’estate, con la regia di Massimiliano Civica. Ha appena debuttato con un nuovo spettacolo dal titolo chiusigliocchi.